Storia e Tradizioni

                                                                          STORIA E TRADIZIONI

 

                                                                                   Acqualagna

la storia…

L’ipotesi più probabile sull’origine del villaggio di Acqualagna è che derivi dalla trasformazione, da parte dei monaci dell’Abbazia di San Vincenzo a Furlo, dalla cappella di Santa Maria Maddalena ad un ospedale.
Il 24 settembre 1506 papa Giulio II rimase ad Acqualagna e ordinò la costruzione della chiesa di Santa Lucia consacrata nel 1537.
Il 20 aprile 1849 Acqualagna aderisce alla Repubblica romana. 17 settembre 1860 Acqualagna entra nel regno di Savoia. Il 18 settembre, dopo la battaglia di Castelfidardo, dove l’esercito francese viene sconfitto, le Marche non sono più sotto il dominio del Papa.
Nel 1901 fu catturato, nella frazione di Farneta, il brigante Giuseppe Musolino. I due carabinieri che l’arrestarono, erano comandati dal brigadiere Antonio Mattei (padre di Enrico).
Durante il periodo della prima guerra mondiale, il sindaco Brigidi, nonostante la crisi economica del paese, riuscì a fornire servizi essenziali per la popolazione, come la costruzione della strada di Pietralata. Il 29 ottobre venne eletto il sindaco socialista Pasquale Ciampiconi che realizzò l’acquedotto del Furlo, la strada per Farneta e quella dei Prati, che ancora oggi collega Acqualagna a Urbania, completata nel 1932.
Fu in quel periodo che iniziò la costruzione della diga di Furlo per la costruzione di una centrale idroelettrica gestita dall’Unione Esercizi Elettrici di Milano. La diga in cemento che si trova al Furlo è un esempio del modello con diga ad arco con concavità rivolta a valle, per scaricare tutto il peso sulle pareti rocciose laterali delle montagne di Pietralata e Paganuccio.
Benito Mussolini passò più volte ad Acqualagna perché la città si trova in via Flaminia, che percorre da Roma a Ravenna. Spesso mangiava e dormiva al Furlo e il 24 maggio 1924 il Consiglio comunale di Acqualagna gli conferì il titolo di cittadino onorario. Nel 1936 le guardie forestali, per ringraziare Mussolini per il lavoro svolto sul Monte Pietralata, scolpirono il suo profilo sulla montagna che domina il Furlo.

Oggi Acqualagna è considerata la capitale del tartufo e la sua fiera nazionale viene riconosciuta da tutti come uno dei più importanti momenti a livello mondiale dedicati al Tartufo Bianco.

 

 

                                                                                           Apecchio

la storia…

I segni lasciati dal passato fanno ipotizzare la presenza di insediamenti celti, etruschi, umbri, romani, ma sicuramente le testimonianze più evidenti provengono dal medioevo. Il primo documento scritto riguardo ad Apecchio risale al 1077 e testimonia il dominio su di essa del vescovo-conte di Città di Castello. Il controllo da parte della città umbra perdurò fino al secolo XIII, quando dopo lunghe lotte prevalse sulla cittadina la famiglia degli Ubaldini della Carda, proveniente dal vicino Castello di Carda, alle pendici del Monte Nerone e imparentati con gli Ubaldini di Montaccianico (il principale e forte Castello della famiglia) signori del Mugello. Questa nobile casata fece entrare la cittadina nel Ducato di Urbino mantenendo per sé il diretto controllo su di essa. Nel 1514 il territorio di Apecchio fu elevato al titolo di contea e retto con leggi proprie fino al 1752, quando il ramo maschile degli Ubaldini si estinse con Federico II (1745 – 1752). La Santa Sede riprese il diretto controllo sul territorio, occupandolo immediatamente, fatta eccezione durante l’occupazione francese in età napoleonica, fino all’unità d’Italia.

Oggi Apecchio viene denominata “Città della Birra”, ed è famosa ormai in tutto il mondo per la produzione di birra artigianale e per i suoi birrifici, che esportano le loro birre anche oltre oceano. Il segreto del successo della birra di Apecchio, oltre al rispetto delle tradizioni produttive e alla qualità delle materie prime, è sicuramente quello di utilizzare la fresca e pura acqua del Monte Nerone.

 

 

                                                                                          Cagli

la storia…

Cagli, città che sotto il dominio bizantino costituiva nel VI secolo uno dei capisaldi della Pentapoli annonaria (insieme a Gubbio, Urbino, Fossombrone, Osimo e Jesi) risulta menzionata sia nell’Itinerarium Gaditanum di epoca traianea e sia nel cosiddetto Antonini Itinerarium che riporta gli elenchi delle città e delle stationes poste lungo le principali vie dell’Impero Romano. Più tardi, nel IV secolo, Cale (tale era l’antico nome della città) figura nell’Itinerarium Burdigalense Hiersolymitanum destinato a pellegrini che da Bordeaux si dirigevano verso la Terra Santa e in quell’itineraria picta che è la Tabula Peutingeriana. Ulteriore corpo alla Cale antica è dato dal ritrovamento di numerosi reperti tra i quali i bronzetti etruschi e italici del IV secolo a.C. scoperti in un santuario pagano nei pressi della città, e tra i quali figura la nota Testa di Cagli (testa di giovane con diadema) conservata nel Museo Archeologico Nazionale delle Marche in Ancona. Nell’atto di donazione del territorio delle due Pentapoli (la marittima e la annonaria o montana) e dell’Esarcato, redatto per il re dei franchi Pipino il Breve, nel 754, a favore di Santa Romana Chiesa, Cagli è indicata con l’appellativo di città.
Parzialmente distrutta dal fuoco, appiccato dai ghibellini durante la cruenta lotta intestina del 1287 finalizzata alla sottrazione del potere civile alla fazione guelfa, sotto l’alta protezione di papa Niccolò IV (e l’intermediazione del cardinale Berardo Berardi) viene, nel 1289, traslata, dalle propaggini di Monte Petrano, e ricostruita ex novo nel sottostante pianoro, inglobando gli edifici religiosi e civili preesistenti che ne costituivano il borgo. Ben presto la città tornerà ad essere un florido centro, visto che in un registro di pagamento delle tasse alla Chiesa del 1312, sottoposto a revisione a seguito del forte calo demografico dovuto a una carestia, Cagli era composta da 1.528 famiglie corrispondenti a una popolazione compresa tra i 6.328 e i 7.119 abitanti. Poco dopo, nelle Constitutiones Aegidianae del 1357, Cagli figura tra le nove città magnae della Marca (insieme per l’odierna Provincia con Pesaro, Fano e Fossombrone), che erano precedute nella classificazione da cinque città maiores, e seguite dalle ventidue mediocres, ventisei parvae, tredici minores e dai castra terrae.
Anche se dovette essere in parte ripensato e non sempre fedelmente rispettato nei secoli, come rammenta lo stesso celebre giurista Bartolo da Sassoferrato quando asserisce che talune strade interne furono ristrette per questioni di difesa, la città entrava nel Rinascimento, condividendo la felice stagione urbinate, con la razionale e anticipatrice geometria del suo impianto urbanistico. Ciò, secondo la tesi di Bresciani Alvarez e Filippini, non dovette passare inosservato agli occhi di quanti animavano culturalmente la magnifica Corte del duca Federico da Montefeltro. Lo spunto a tale ipotesi nasce dall’osservazione che la celebre Città ideale, attribuita a Luciano Laurana su disegno di Leon Battista Alberti (conservata nella Galleria Nazionale delle Marche), presenta sullo sfondo un elemento paesaggistico dal profilo talmente caratterizzato da non sembrare immaginario ma decisamente reale visto che combacia con l’altopiano di Monte Petrano ai piedi del quale è ancor oggi Cagli con la sua piazza. Il grande edificio a pianta centrale che compare al centro del dipinto, secondo la tesi citata, avrebbe occupato il posto del Palazzo Pubblico che nel 1476 il Comune di Cagli (esattamente un secolo dopo il suo ingresso volontario su piede di uguaglianza insieme ad Urbino nel nascente stato dei Montefeltro) aveva donato a Federico da Montefeltro, il quale si fece carico, in quegli anni, di far eseguire profondi lavori di ristrutturazione a Francesco di Giorgio Martini, l’architetto senese che negli anni ottanta del ‘400 è in Cagli impegnato per l’erezione della Rocca e del Torrione.

Furono soprattutto le manifatture, e ancora oggi lo sono, consistenti in particolare nella lavorazione dei panni di lana e più tardi della seta e nella concia delle pelli, che sviluppatesi notevolmente sotto i Duchi d’Urbino sostennero la forte crescita economica della città e conseguentemente costituirono la base per quello culturale, al quale presero parte anche grandi artisti attivi presso la Corte urbinate o uomini di governo a quella legati.

La devoluzione del Ducato d’Urbino allo Stato Pontificio, del 1631, comporta per Cagli l’inserimento in uno Stato dove le Marche dovranno votarsi principalmente all’agricoltura cerealicola, strategia economica che essendo poco remunerante per le aree appenniniche avrebbe, infine, comportato, a partire dal Settecento, un arretramento economico sempre più consistente delle stesse. L’Unità d’Italia se da un lato accende gli animi anticlericali che vagheggiano un progresso a portata di mano trovano in loco validi spunti nella costruzione della ferrovia Fano-Fabriano-Roma (distrutta e mai più ricostruita durante la Seconda Guerra Mondiale) e del Teatro comunale. Dall’altro apre il capitolo delle spoliazioni dei monasteri prima e delle confraternite dopo i cui beni demaniali servirono per l’ammodernamento del Regno. La politica della monarchia sabauda, a differenza di quella pontificia precedente che aveva lasciato ampia autonomia ai comuni, avrebbe ben presto mostrato il volto del “piemontesismo” anche nelle Marche vanificando, con il compimento dell’unificazione amministrativa del 1865, i disegni di decentramento.

Oggi Cagli rappresenta uno dei più importanti Comuni della Provincia di Pesaro e Urbino, diviso fra le bellezze architettoniche del centro storico e i suoi paradisi naturalistici che contraddistinguono il suo territorio: monti, valli, fiumi fanno da cornice ad una cittadina che oltre al suo patrimonio, fatto di palazzi nobiliari e chiese monumentali, offre una storia documentaria millenaria conservata nei propri archivi e ritenuta di valore inestimabile.

 

 

                                                                                          Cantiano

la storia…

Nel VI secolo a.C. gli Ikuvini, una ramificazione umbra del popolo degli Italici che dall’Europa continentale avevano invaso l’Italia, furono autori della migrazione che li portò ad occupare l’area appenninica umbro-marchigiana intorno alla odierna Scheggia, nelle cui vicinanze fondarono la città della Ukre Fisia e dove risulta eressero il tempio a Giove Patre. E fu in questi luoghi che nel lontano 1456 avvenne il ritrovamento di un documento di inestimabile valore, le Tavole Eugubine (museo di Gubbio): sette lamine di metallo redatte in umbro, etrusco e latino la cui lettura, traduzione e successivo studio ha permesso di svelare gli ordinamenti, le attività, le pratiche sociali e religiose di questi nostri antenati appenninici. È forse in questo tempo che inizia ad acquistare importanza il centro di Luceoli, localizzata nel territorio del comune di Cantiano nei pressi dell’attuale frazione di Pontericciòli (da Pons Luceoli).

Toccò a Caio Flaminio, censore, rendere tangibile la presenza romana creando nel 219 a.C., peraltro su tracciati in parte già esistenti, la validissima arteria appunto chiamata via Flaminia, un collegamento strategico tra Roma e Rimini. Via che poi successivamente, per opera di Augusto e di Vespasiano, vedrà migliorare il proprio percorso con la costruzione di numerosi manufatti ed imponenti ponti e l’apertura, nel 76 a.C., della galleria del Furlo. Per questo motivo Luceoli acquisterà notevole visibilità, divenendo così municipio romano. La Civitas di Luceoli, probabilmente anche sede episcopale indipendente poi estintasi a beneficio della vicina Gubbio, dopo le invasioni devastatrici degli Eruli e dei Goti, aumenta la propria importanza nel divenire un caposaldo del Corridoio bizantino. Questo, insinuandosi nei territori dei Longobardi di re Alboino, costituiva l’unica alternativa alla Flaminia presidiata nel mantenere in comunicazione i domini bizantini adriatici dell’Esarcato e delle Pentapoli con i Ducati di Roma e di Napoli.
Forse in funzione antilongobarda o per difendersi dalle incursioni dei Saraceni del IX secolo si inizia la fortificazione dei due colli di Colmatrano e di Cantiano posti a nord di Luceoli, intorno ai quali i superstiti della città, definitivamente distrutta nel 1137 dall’imperatore Lotario III, ripiegheranno per dare avvio alla comunità di Cantiano. La stessa Cantiano sembra prendere nome da Cante Gabrielli, della omonima famiglia Eugubina che, nel corso del X secolo, ottenne da papa Stefano VII alcuni castelli nell’Italia centrale, tra i quali quello di Luceoli, che fu ribattezzato Cantiano (da Cante). Il colle di Colmatrano fu presidiato da una imponente torre alta 24 metri di cui oggi nulla rimane se non le fondazioni; il colle di Cantiano, oggi di Sant’Ubaldo, ospitò la costruzione del castello di cui rimane oggi il muro portante lato nord est. Uniti i due colli successivamente da una possente cinta muraria larga 10 m al riparo della quale prosperava il borgo, il Castello di Cantiano assunse una formidabile capacità difensiva. Sbarrando di fatto la Via Flaminia la sua importanza strategica fu tale che per ogni secolo i potenti se ne disputeranno il possesso. Dall’obbedienza all’impero del Barbarossa e di Federico II di Svevia, Cantiano passò nel 1244 per atto di quest’ultimo sotto la giurisdizione di Gubbio e nel 1250 sotto il Governo della Chiesa. Del Castello di Cantiano – divenuto nella seconda metà del XIV secolo dimora di Gabriello di Necciolo Gabrielli, già Vescovo e Signore di Gubbio, insieme alla sua famiglia – se ne disputarono il dominio anche i Montefeltro di Urbino ed i Malatesta di Rimini, sostenuti per interessi territoriali dai Visconti, signori di Milano e dalla repubblica di Firenze. Siamo al 1393 quando, dopo ben nove anni di estenuante assedio, caduta la rocca di Colmatrano ad opera degli armati del conte Antonio II da Montefeltro, si patteggia una pace onorevole. Il castello di Cantiano viene ceduto ai Montefeltro durante la cui signoria Cantiano beneficiò di un florido periodo. Nel 1417 il castello doveva aver ripreso la vecchia efficienza giacché per anni fu il quartier generale dell’esercito di Guidantonio da Montefeltro contro Braccio da Montone (Andrea Fortebraccio Signore di Perugia) che, sotto quelle mura, vide infrante le mire espansionistiche verso la Marca e l’Adriatico. Così il Duca Federico da Montefeltro, rendeva la sua capitale Urbino più sicura verso sud e poneva una degna residenza Ducale sulla strada tra Urbino e Gubbio, seconda capitale del ducato e sua amata terra natìa. Divenuta allora onorevole terra, Cantiano fino al 1631 seguirà storia e destino del Ducato di Urbino. Con l’estinzione del Ducato per mancanza di eredi maschi, Cantiano passerà alla Chiesa di Roma e farà parte dello Stato Pontificio fino al 1860, quando apparterrà per annessione al Regno d’Italia.

Oggi Cantiano rappresenta la porta ovest delle Marche verso l’Umbria, con una comunità viva ma attenta alle tradizioni e alla propria storia, come dimostrato dalla Turba del Venerdì Santo che si ripete ogni anno da secoli. Famosa per i cavalli, le amarene e il pane, l’antica Luceoli è una città che unisce bellezze architettoniche e storiche ad un territorio naturalistico davvero unico e da scoprire: fiore all’occhiello il Bosco di Tecchie, ora diventato ufficialmente Riserva Naturale.

 

 

                                                                                             Frontone

la storia…

Il territorio di Frontone risulta abitato fin dai tempi più remoti, da Umbri, Galli e Romani, poi da Longobardi e Franchi, come testimoniano le preziose pergamene dei monaci Avellaniti e Camaldolesi e un tempietto rurale di origine romana, rinvenuto nel 1970.
Il primo documento in cui viene citato Frontone è del 7 luglio 1072, dove, fra le chiese dipendenti dall’Eremo di Santa Croce di Fonte Avellana, viene annoverata quella di San Fortunato, edificata “presso il monte di Frontone”.
La storia di Frontone è legata soprattutto al suo Castello, conteso da principi e da guerrieri per il dominio delle contrade circostanti e che oggi rappresenta uno dei più chiari esempi di architettura militare dell’XI secolo.
La cittadina è stata a lungo sotto il dominio di Cagli e Gubbio, fino a quando venne conquistata dalla famiglia eugubina dei Gabrielli. Nel 1420 Frontone entra a far parte del Ducato di Urbino inserendosi nella storia dell’illustre famiglia dei Montefeltro e di quella dei Della Rovere che le succedette nel possesso del Ducato.
Nel 1445 vi è un tentativo di conquista di Sigismondo Pandolfo Malatesta signore di Rimini, scongiurato con un intervento diretto da parte di Federico da Montefeltro.
Proprio in seguito alla scampata minaccia, il signore d’Urbino incarica Francesco di Giorgio Martini di realizzare importanti opere di potenziamento della preesistente rocca.
Nel 1530 i Montefeltro cedono il territorio al nobile modenese Giovanni Della Porta, ma in realtà Frontone rimane sempre legato ad Urbino, di cui ne segue le sorti, fino a passare, nel 1631, sotto il dominio dello Stato Pontificio.
Dopo anni di abbandono, nel 1965 il Castello viene acquistato da Dandolo Vitali che lo passò pochi anni dopo al Conte Ferdinando Della Porta. Nel 1985 il Comune di Frontone decise di acquistarlo e restaurarlo, rendendolo un luogo di interesse turistico e storico di notevole valore.

Oggi Frontone è considerato la “Svizzera delle Marche” perché unisce territorio montani di notevole rilievo a impianti sciistici moderni e all’avanguardia. Il Castello rimane punto di riferimento e centro propulsore per tutto il territorio frontonese, anche da un punto di vista culinario viste le specialità dei ristoranti ad esso limitrofi, con un encomio speciale per la “Crescia sulla graticola”, ormai diventato prodotto De.Co.

 

 

                                                                                Serra Sant’Abbondio

la storia…

Il territorio di Serra Sant’Abbondio ebbe una rilevante importanza strategica come luogo di difesa e controllo, trovandosi sulla via di collegamento, impervia ma breve, tra l’Umbria e il litorale adriatico.

La presenza d’insediamenti umani si riscontra già a partire dal neolitico, nella fascia pedemontana a 400-500 metri sul livello del mare.
Nel territorio si stanziarono poi popolazioni picene, fu inoltre direttamente interessato dalla prima guerra italica del 295 a.C., tra romani e gallo-sanniti, e dallo scontro, nel 552 d.C. tra l’esercito bizantino di Narsete e quello dei Goti di Totila.

La storia scritta dell’attuale territorio inizia a partire dal XII secolo, con la presenza di numerosi castelli compresi nel comitato della vicina Gubbio e nella zona di influenza dell’Eremo di Santa Croce di Fonte Avellana. Nel 1255 il Castello di Serra Sant’Abbondio venne radicalmente trasformato con fortificazioni, mura, corbonarie, fossati ed un palazzo.
La nuova struttura garantiva sicurezza e tranquillità con un incremento notevole della popolazione, proveniente dai vicini castelli.
Alla fine del XIV secolo il territorio di Serra Sant’Abbondio passò ai Montefeltro ed è proprio sotto la signoria del Duca Federico che venne commissionata a Francesco di Giorgio Martini la ristrutturazione della rocca.
La fortezza, occupata nel 1502 da Cesare Borgia, fu poi fatta smantellare dal duca Guidobaldo.
Con la morte dell’ultimo duca di Urbino, nel 1631, Serra venne annessa allo Stato Pontificio e, fino al 1861 (anno in cui Vittorio Emanuele II fu eletto re d’Italia), la sua storia è legata alle vicende delle città di Gubbio e di Pergola, dividendo con loro momenti alterni di pace e di lotte.

Oggi Serra Sant’Abbondio rappresenta la porta sud dell’alta Provincia di Pesaro e Urbino, confinando con quella di Ancona e di Perugia. In un territorio ancora incontaminato e naturale grande importanza ha da sempre avuto Fonte Avellana per il Comune, ma a tutt’ora rimane un paradiso per escursionisti e amanti della natura e del contatto diretto con la montagna e il suo bosco.